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Budd Bristol

di

Giona Zaimer Zimir

2013

NOTA BENE La lettura di questo pamphlet tende a indurre nei lettori più piccoli legittimi interrogativi che il genitore di turno potrebbe trovare imbarazzante sciogliere.

1. edizione elettronica (redazione chiusa il 26 gennaio 2013)

questo volume è autopubblicato dall'autore, con tutti i pro e i contro che ciò comporta: selezione editoriale: NO revisione editoriale: NO lettura più o meno distratta di amici e parenti: SI costa poco: POCHISSIMO

testo e immagini © Gianmario Merizzi, 2013 [email protected]

Avvertenza

L'insano clima di delirio collettivo che si respira in queste pagine risulterà mitigato a chi vorrà considerare che esse vennero scritte anni addietro con l'esplicito intento di irretire una vicina di casa, nella fattispecie studentessa in medicina, che generosamente adottò l'autore quale cavia per le proprie pratiche formative nella benemerita disciplina dell'agopuntura. Il testo, distortamente biografante, fu inviato alla protagonista, in forma anonima, quando la stessa era sul punto di prendere il volo per un soggiorno in Cina, come è noto patria della suddetta arte agopuntoria, o almeno così mi pare di ricordare ...

(à G.P., un irateur)

Mattina

«Drin-drin-drin», si ode. O forse «du-lilù-lilù», magari «tè-ketè-ketè-ketè», né si voglia escludere a priori «olikabulidin-dindirindò», ma restiamo a livello di ipotesi, non avendo mai avuto la ventura di scoprire con che suono dia sui nervi la tua sveglia alle 8.30 del mattino. Comunque: Dio!, dormiresti ancora un paio d’anni. Dieci minuti facciamo.

...

Quando un malinteso senso del dovere provvede finalmente a elergirti un pizzicotto sul mesencefalo, le tue palpebre si disserrano su quell’abisso di orrore rappresentato dalla sveglia di cui sopra proclamante un bel 10.18 (tic, tic, tic ...) «LE DIECI E UN QUARTO!!?!» – imprechi all’indirizzo dell’avverso destino, concedendoti in effetti un po’ di sconto. I eri dell’isolato si levano in volo turbati. Anche Margit, la sedicente svedese con cui spartisci il loculo, ha un sussulto, poi si ribalta di là e riacchiappa il ronfio. Volano anche le lenzuola, riatterrando con scarso senso dell’ordine, sventaglian

le porte, irrorano i rubinetti, le spugne schiumano, gli asciugamani detergono, gli specchi deprimono, tazze di varia natura presiedono al transito alimentare del mondo attraverso il tuo organismo e mentre Radioqualcosa spettegola, uno spazzolino cerca alla bellemeglio di allungare il periodo di relativa serenità che ti separa dalla prossima detartrasi. Poi l’attaccapanni ha un fremito e un perentorio spostamento d’aria fa rabbrividire i vetri delle scale. «Finalmente fuori dalle palle» – sospira Margit la similsvedese, aprendo un occhio. Lo richiude (con effetto comunicativo, se vogliamo, ridondante).

Attesa

Sfogliamenti: frenetici, forzatamente controllati, svogliati, sfiduciati, sbalorditi, di libri, tomi, manuali, opuscoli, bigini, tascabili, appunti, dispense, tabelle, riassunti, sintesi, cabale, schedine del totocalcio. Si genera una impercettibile corrente d’aria il cui movimento convettivo porta in alto nozioni su fegati, tiroidi, polmoni, intestini crassi, meningi, rotule, setti nasali, pilori e faringi, in condizioni così penose che nessuno si augurerebbe di averli. Detto nozionismo sfarfalleggia un po’, senza convinzione, poi prende a ricadere come una pioggerella acida che inasprisce le smorfie dei candidati al massacro di anatomia patologica. «Chi se ne frega. Quello che so, so, ormai ... se butta male farò l'agopunturista e amen ... meglio distrarsi.» – reciti dal solito copione. Un giornale spiega improvvisamente le sue ali dalla sedia di fronte, trampolando su un paio di pantaloni di stoffa pregiata a zampa misuratamente larga da cui scamlano caviglie esili, tuffate in mocassini beige cuciti a mano. Il tutto a denotare un certo qual stato socio-economico di non celate pretese.

«Bleah, non c’è scampo!»

Mammelle

Se ne dice, in genere, un gran bene. Onde pochi si azzardano a dirne male. Tu invece nulla. Scena muta. (certo qual imbarazzo ... ) Il patolanatònomo non è niente contento, si capisce. Disapprova infatti che le signorine si presentino al suo cospetto senza un non so quale spontaneo ostentar di mammelle, seppur solo in senso desolatamente lato. Non può esimersi dal viverlo come un oltraggio alla carriera, non scientifica bensì baronale, bene inteso. «Come che non erano in programma?» – sussulta con iperbolica platealità al tuo infruttuoso abbozzo di giustifica. L’assistentessa, ignara del dramma che si sta costì consumando, si appollaia al suo fianco e gli cinguetta qualcosa circa un verbale da decorare col suo esimio ghirigoro. Con tua sorpresa lui contorce il ghigno in un surrogato di sorriso, poi le scorreggia un bel visto nella casella sbagliata. Ella lo ringrazia ugualmente di tutto punto, poi non vista svolazza a prendere il bianchetto. È la prassi, si sà, e poi il concorso da associatessa è così vicino! Ah però ben più vicino del cassetto della cancelleria, uffa. Lui resta sempre un po’ compreso in sé medesimo dopo l’esercizio del proprio nomecognome, e in quel divagar cerbero-cerebrale stenta a rifar mente locale.

«Dunque ... mammelle come fuori programma». ... Un camlino gli risuona in fondo al cranio. Lui va ad aprire, ed è un venerdì sera di qualche settimana addietro, che l’assistentella si presentava puntuale per scortarlo qua e là a barattar chiacchiere con strette di mano, «sì, sì» e fisionomie ossequiose. Nel barlume mnemonico susseguente si vede lei che lo sta riaccompagnando a casa col proprio veicolo ruotomunito, quand’ecco (ah, ecco, ecco): poponf! Lui si ritrova inopinatamente in mano un paio di tette incipriate strabuzzanti dal tubino a gogo, onde non indugia, premurandosi al contrario di aromatizzarle del proprio dopobarba, già allo stadio terminale dell’evaporazione cutanea, prima di lasciare onorevolmente il campo ad umori meno addomesticabili. Tutto questo te lo racconto perché tu intanto te la sei filata di soppiatto, devolvendo il calore infuso dalle tue terga nel seggio inquisitorio ad una collega più audacemente estroflessa e ben intenzionata a rispondere a quesiti sull'anatomia patologica del uonderbrà.

«Non te la prondere!»

Ci si presenta costì un enunciato destinato di prammatica a una baldanzosa rotta di collisione con un sistema, ancorché simpatico, reso vieppiù nervoso nel quadro dell’interazione comunicativa susseguente all’antefatto testé documentato (sufficientemente contorto, no?). Fanno eccezione i casi in cui detta enunciazione avvenga a cura di un sedicente Ferenc Lee Du Vremont, dal non men contorto pedigree ungrofrancocinese, stazzante metri uno e ottantasei per 44 (hei, dico di piede!) rivestito esternamente, per quello che è dato di vedere, da un florilegio di pelame ramigno di un tipo ampiamente corresponsabile dei fasti della bellezza androgina sul pianeta terra. Quando finalmente ti rendi conto di non essere al cinema, provi a sfregarti gli occhi mentalmente, ma lui persiste di fronte a te in formato panavision, anche se non rammenti di avere pagato alcun biglietto d’ingresso. Ti sforzi di fare mente locale, ma chissà perché quel locale è una camera da letto. «Helas!» – sbuffeggi in cuor tuo con faziosa rassegnazione – «se la giornata deve prendere una piega inaspettata, che sia dunque quella che percorre spavalda l’effigie del bel sconosciuto, dal ricciolo auricolare fin giù al suggello del volitivo mento, onde impennarsi poi leggiadra lungo le morbide pieghe labiali e naricali, valicando la placide vallate oftalmiche per perdersi poi nel tripudiar pirotecnico del pilifero bulbo.» (Se questo non è esattamente il tuo stile di recensione puoi sempre inviare una lettera di reclamo). Talché sottoscrivi un abbonamento all’avverbio «sì» e te lo spendi poi tutto in occasione di qualsivoglia proposizione interrogativa del tuo fortunato interlocutore, circa le quali si fornisce qui di seguito un'esaustiva tassonomia: 1. Ti và di sortir un peu fuori?

2. Ci sediamo un attimo al cafè? 3. Hai voglia di bere une chose? 4. Parbleu, je dismentighè l’argeant dans ma maison. Chu qi xen akaiu po (puro esercizio sinologico di carattere porcaputtanico, cui non era affatto necessario che tu rispondessi di sì). 5. J’abito proprio ici. Ti va di venir un moment avec moi? Ora, è con qualche apprensione che ti sentiamo rispondere affermativamente, senza esitazione alcuna, a quest’ultimo accalappiamento malamente travestito da casual invito preterintenzionale. Ed è così che percorresti marciapiedi vergati dal Suo aroma transalpino, varcasti portoni incornicianti la Sua effigie camita, stagliata contro il baluginar dell’astro solare, calcasti gradini esaltanti la Sua statura austroungarica, udisti lo scrocco delle porte del paradiso, ed allo schiudersi dell’empireo abisso per prima le varcasti, lasciando scivolare al suolo ogni residuo di virginal sussiego. Ma perché mai improvvisamente il pavimento ascende nell’alto dei cieli, trascinandosi dietro quell’alone di sorda oscurità sbilenca? «Vuoi vedere che sto svenendo?» – recitano i tuoi ultimi neuroni attivi. «E per cause niente affatto naturali mi sa» – responsoriano le sinapsi ormai allo stremo. «Esatto» – aggiungo io, e vorrei metter lì anche un «te l’avevo detto!», ma il tuo morale è già abbastanza surrogato. Onde sarà d’uopo un drammatico cambio di registro narrativo.

Nero

Si credeva di avere aperto gli occhi, ma, se possibile, è diventato ancora più buio, o vuoto. E gli occhi in realtà, da quello che viene, o meglio non viene percepito, non si potrebbe nemmeno giurare che ci siano o siano correttamente collegati al cervello. La qual cosa peraltro estende la propria validità al resto del corpo, cervello compreso, forse. Si è come appesi in un nulla che si è mangiato tutto, lasciando solo il di lui aroma rugginoso. Non che sia disagevole. Piuttosto un po’ seccante. Si cerca un po’ di panico dentro di sé senza trovare né panico né tantomeno un ‘dentro’ o un ‘fuori’. Questa ingombrante consapevolezza di esistere è come spalmata su una superficie di realtà bidimensionalmente asciutta. Che sia un’esperienza mistica? Si cerca invano un dato esperienziale che possa suffragare tale presupposizione. Qualche rituale sospetto praticato ultimamente? Ultimamente. Termine di senso apparentemente comune che si presenta però svuotato da ogni compiuta significazione. Dovrebbe richiamare alla mente qualcosa che ugualmente si rifiuta di farsi percepire. Che sia un’esperienza filosofica? Cogito ergo sum. Ma dove? Quando?

Saremo vestiti come si deve? Ed ecco. La sottiletta ontologica cominciò a lievitare. Un derelitto alone di luce prese ad ardere silente in un certo punto dello spazio, rinfrancando in lei la fede nell’esistenza di una destra e una sinistra. Il suo fulgore gelido parve esortare un tenue moto di commozione per la determinazione con cui si ostinava ad illuminare sé medesimo e null’altro attorno. Poi, in un attimo, si offusca, sussulta, si gonfia. E partorisce. La processione avanzava solenne, veleggiando silenziosa nell’etere dalla sua destra. Le diafane forme antropomorfe smaltirono l’inerzia del loro incedere di fronte a lei e si sarebbe detto che la contemplassero. Severamente, e nel più assoluto riserbo. Si fece pertanto strada, nel suo conscio, la sensazione che la suinferita bidimensionalità riguardasse non tanto la realtà esterna quanto la sua persona. «Sono forse un quadro? Un ritratto di me stessa nel museo delle anime traate, esposto alla sinistra curiosità degli spiriti del limbo?» Come consce di un pensiero a loro rivolto, le forme presero ad agitarsi malignamente e nel lucore lattiginoso della loro siluette affiorarono occhi ed altri orridi orifizi, contorti in mute profezie ignobili. «Spiriti dell’inferno, piuttosto!» Poi, come ad un cenno, il loro ghigno si spegne e, inesorabilmente, viene riassorbito nel pallore, il pallore nell’oscurità, l’oscurità nel nulla, il nulla nell’oblio. Il tuo.

Bianco

Biancore, bianchetto, bianco latte, bianco neve, Biancaneve, Montebianco, carta bianca, biancospino, biancheria, andare in bianco, bandiera bianca, arma bianca, morte bianca, voci bianche. L’Empireo! (empio e reo?) Voci comunque. Però bianco, bianco ovunque ... Bianco c Bianco ca Bianco cam Bianco cami Bianco camice. «Ma, guarda!» Il camice si scuote, visibilmente sollevato dal fatto di essere stato riconosciuto. Sopra indossa una bella testa il cui pallore si prosciuga pian piano lasciando emergere tratti somatici rassicuranti, per quanto assai poco giapetidi. «Infermiere extracomunitario. Capita sempre più spesso» – riflettiamo. Se ne desume aggiuntivamente uno stato di infermità che ci tocca da vicino, confermato, non foss’altro, dalla dislocazione supina in cui ci veniamo a trovare e che ci pone in posizione sommessamente ortogonale rispetto al suddetto inserviente ospedaliero. Questi rivolge alfine uno sguardo ai piedi del nostro giaciglio, illuminando –

così ci pare nel persistente traballare dei sensi oftalmici – una schiera di bellimbusti non meno incamiciati. «C’est bien, elle a eu de la chance» – esordisce uno in registro linguistico indubbiamente francofono. «What about the other two guys?» replica quell’altro, rimescolando subito le nostre affrettate presupposizioni circa l’inquadramento geopolitico della situazione testé narrata. «Both gone.» «Shit!» – si rimpallano mestamente, stabilizzando se non altro le nostre illazioni sugli usi e costumi linguistici predominanti presso la fauna locale. «I just wonder what we’re gonna tell her» – butta lì l’unica fanciulla del branco, andando a posare con lo sguardo quel pronome personale femminile sulla tua fronte imperlata di gocce termoregolatorie e rughe interlocutorie. Gli uomini smorfeggiano come se si fossero fatti soffiare la battuta migliore della serata. «The less she knows the better for her safety» – rilancia qualcuno. «Quatsch, das ist ja Unsinn! It makes no sense at all» – bluffa l’elemento anglotedesco della mandria. «It does make sense. They seem to have ears everywhere. Don’t forget they always tried to strike down the most informed among us.» Al che nessuno ha più voglia di parlarne, allestiscono una malandata fila indiana e deambulano via come bambini sgridati. Solo la fanciulla non si è mossa. «Io parlo un poco tua lingua» – dice conferendo una luce meno slavata all’ambiente circostante. «So chi tu hai domande, e vuoi risposte. Ma ora è presto. Devi aspettare, ti devi tirare su».

Her light eyes. Maybe they are trying to tell you something more than the mouth does. «Tuo fisico sta bene. Puoi alzare, credo. Qui c’è fruta y agua, per ora mangi solo questo ...» «Tua mente ... » – her eyes shine brightly, then fade out in a hurry – «tu ora devi rilassare. Più tardi avremo bisogno di te». You read a true frankness in the last sentence, e un senso di normalità comincia a rifluire attraverso il tuo corpo. «Take the age-way on the left, then follow it right down to the exit. There is a beautiful garden outside». Un giardino. «I’m Kunegund.»

Il corridoio degrada silenziosamente

Là in fondo un’uscita vistosamente secondaria soffre di solitudine nel deserto di quell’ospedale reticente. La luce esterna è trattenuta a stento dai battenti che sembrano in procinto di esplodere, sempre più rigonfi di luce abbagliante mano a mano che ti avvicini alla soglia. Le tue dita scorrono le finiture di legno pregiato che ne incorniciano il bordo, giù fino alla maniglia. Non appena la premi verso il basso una folata di vento caldo spalanca i tuoi occhi su un paesaggio pietrificato dal tuo stupore, e sul tuo viso scorre con dolcezza l’orizzonte incolmabile della Cina.

«Ma che cavolo è ‘sta roba?»

«Come racconto è piuttosto giù di trama, come scherzo farebbe a stento sganasciare un prete olivetano, come studio teorico sulle devianze grammaticali manca di indici e note a piè di pagina, come dichiarazione d’amore non tocca certo le corde del sublime, come dichiarazione dei redditi è anche troppo cifrata. Che sia un catalogo Postal Market? Boh! Non ho tempo da perdere, dai!» – dice Greta alleviando con ostentata decisione la pena delle molle del divano. E io prendo a svolazzare verso qualche angolo recondito del pavimento («Ehi Greta, potresti anche spazzare un po’ più spesso qua sotto!»). La mia natura cartacea non fa in tempo a deporre le sgualciture sul piastrellame che: «Drin-drin-drin» – si ode. «(Mi ricorda qualcosa ...) » – pensiamo in coro. Greta tiketaketitakka di là, aprendosi la strada nell’afa del suo appartamento sottotettaneo a suon di sbuffamenti. «Chi è?» – si informa in termini cautelativi. «To-koto-kotokko» – ribadisce laconico l’inviso e peraltro invisibile interlocutore, traducendo in linguaggio obsoleto il messaggio già inoltrato tramite il più moderno mezzo elettrico. «Che pazienza ci vuole!» – sottintende Greta scrutando la siluette delle proprie sopracciglia. Quindi apre la porta che la beneficia di una sventagliatina di fresco attinta alla penombrosa tromba della scale. «Sono Ferenc Lee Du Vremont» – azzarda a mezza voce l’ombra al di là del cancello.

«Non è vero!» – proclama Greta cessando di punto in bianco di patire l’afa di quel desueto pomeriggio di giugno. «Lo supponevo» – fà quell’altro. Poi reclina il pelame ramigno e si mette a piangere sconsolato.

«Le dirò tutto»

«Analizzando i cervelli bovini nell’ambito delle ricerche sul morbo della mucca pazza (MDMP) scienziati inglesi hanno scoperto la presenza di una differente alterazione dei tessuti, di origine sconosciuta, forse una modificazione genetica del MDMP. Sugli esemplari già colpiti dal MDMP questa nuova affezione non sembrava dare effetti aggiuntivi. Essa venne in seguito riscontrata anche in esemplari bovini non affetti da MDMP, ma vissuti a contatto con esemplari malati. Anche questi non avevano sviluppato alcuna sintomatologia apprezzabile. Il nuovo morbo, denominato Alternate Cattle Brain Desease (ACBD), venne studiato su una serie di cavie animali, su cui attecchiva facilmente ma, anche qui, senza dare riscontri sintomatologici. La malattia sembrava insediarsi nei tessuti senza poi progredire, o meglio, progredendo con una lentezza eccezionale, tanto che eventuali esiti drastici potevano essere previsti per un tempo ben oltre il periodo di vita delle cavie. Alcune di esse furono allora sottoposte ad un trattamento di accelerazione dei processi di sviluppo molecolare e i risultati non si fecero attendere. L’esperimento diede luogo a due esiti contrapposti: in alcuni soggetti non sembrò inizialmente di poter osservare sintomi particolari, ma quando in altri soggetti si riscontrò uno straordinario sviluppo intellettivo e sensoriale, si riconsiderò la questione scoprendo che nei primi queste qualità si erano, al contrario, in buona misura affievolite. Da un punto di vista fisiologico entrambi i gruppi di cavie stavano bene ma i primi, i ‘tonti’, mostravano un incremento del 20% nella lunghezza della vita, i secondi, i ‘geni’, una riduzione del 30-40%. I risultati degli esperimenti divennero eclatanti quando come cavie vennero utilizzati animali di intelligenza più spiccata. Con le scimmie le cose apparvero sconvolgenti. Le ‘tonte’ tendevano a perdere ogni capacità decisionale e non erano in grado di acquisire spontaneamente nessuna nuova abilità. Potevano però essere indotte a ripetere meccanicamente e con efficienza alcuni compiti materiali. I ‘geni’ erano una minoranza, in grado di sviluppare abilità e competenze strabilianti, e chissà quale modificazione nelle loro impenetrabili coscienze. Ma la struttura sociale si alterò in modo profondo e spesso violento. Molti ‘geni’ presero ad istruire i ‘tonti’, remissivi, al soddisfacimento dei propri bisogni, e la rivalità tra loro

aumentò a dismisura. Possiamo solo immaginare cosa accadrebbe se una epidemia di questo morbo investisse l’umanità: avremmo una casta di superuomini la cui intelligenza spropositata si troverebbe al servizio di un istinto non ugualmente nobilitato, forse incattivito dalla coscienza infelice di una vita troppo breve. Gli altri si troverebbero probabilmente ridotti ad una casta di schiavi, di semiautomi ... Ora, il punto è che una organizzazione segreta molto potente, diffusa a livello mondiale, sta favorendo la diffusione dell’ACBD, e forse ne è responsabile della genesi. Chi ci sia dietro e quali siano gli scopi ultimi perseguiti non ci è dato di sapere. In ogni caso noi lavoriamo per un’organizzazione medico-scientifica e militare intergovernativa che ha il compito di contrastare questo tentativo. Purtroppo abbiamo motivo di credere che, coperto dalla asintomatologia e dalla lentezza della sua fase, diciamo, di incubazione, il morbo abbia avuto modo di diffondersi ampiamente e invisibilmente tra la popolazione umana. Naturalmente abbiamo scartato l’ipotesi di rendere pubblico ciò che sta accadendo, anche perché al momento attuale non siamo in grado di offrire alcuna cura o profilassi. Dobbiamo agire in segreto per evitare panico incontrollato, cacce all’uomo e isterie di massa».

Ecco dunque che il presente racconto tende ad assumere un tono più serio e garbato, vi subentra un nodo drammatico intrigante (che ti va a scomodare nientepopodimeno che le sorti dell’umanità intera), si fa in definitiva avvincente, seducente, moderatamente idrorepellente, e, insomma, potrebbe diventare un racconto sensato senonché il dottor Drugobar, eccellente micologo, gastroenterologo e onanopede di fama mondiale, al termine del suriesumato resoconto sta per tirare il fiato ma, per increscioso errore, tira invece le cuoia. E con questo eccoci a ricadere nella farsa.

«Ma io che c’entro in tutto questo?» – piagnucola Greta

«C’entra, c’entra, e non possiamo prevedere se, e quando lei ne potrà uscire.» – esordisce severo Budd Bristol, che emerge solenne dallo stuolo dei colleghi facendo attenzione a dove mette i piedi mentre gli inservienti scopano via i resti mortali del dottor Drugobar (eccellente micologo, gastroenterologo e onanografo di fama mondiale). «Non per nostro espresso desiderio s’intende, per quanto la sua presenza combaci appieno con la nostra nozione psicosomatica di piacevolezza» – e giù a slumare con la coda dell’occhio l’effetto, platealmente mancato, della propria affettazione. Onde ripresa a piene mani l’originale severità, non obnubilando un sostenuto atteggiamento scoopistico, si rende informativo in questi termini: «Lei l’ha rischiata grossa sa? Oh se l’ha rischiata grossa! E non possiamo prevedere se, e quando il rischio sia per lei tramontato. Che lei ne abbia o no un ricordo (o un incubo, per usare un termine probabilmente più acconcio) lei è stata in balia di quei banditi.» «Dica pure criminali!» – interviene d’urgenza la dottoressa Bragophant. «Ovverosia malfattori!» – si perita di precisare Lapo Lapès Laplon, infermiere capo. «Malviventi, cioè, e gangsters perdipiù» – postilla la guardiasala Birgitte d’Agoraz Rosmüller, nata Sbronf. «Lestofanti, piuttosto ... (che Dio ci protegga)» – rincalza l’abate Brancagruel sbottonandosi il saio al fine di far trapelare una certa non disprezzabile villosità. «No, no, io direi meglio: delinquenti, imbroglioni, contrabbandieri, ladri patentati» – redarguisce Arsiglio Lupenio, effraendo con sottintesa abilità il portafogli custodito nella tasca posteriore destra dei propri jeans.

«Questa poi ...» – bofonchia una vocetta tra la folla. «E fattucchieri, come vi sembra fattucchieri? ...» «Io concordo col collega che ha detto malfattori, parendomi termine lessicograficamente ben compìto, perquanto anche briganti, grassatori, boia e assassini ...» «Bastardi, sono dei semplici bastardi, cacca, pipì e pupù» «Senti quà, senti quà: balordi, avanzi di galera, galeotti, pirati, masnadieri, barabba, rubagalline e taccheggiatori» «Oh, il solito esagerato!» «E idraulici, che ve ne pare di idraulici? ...» – e via ruminando in ordine di apparizione, da parte di questo, quella e quell’altro, costei, colui, codesto e codella. «Signori, vi prego! Si sta speculando sulle sventure di una misera fanciulla. E non possiamo prevedere se, e quando queste sventure potranno mai da lei congedarsi restituendole la facoltà del sorriso» – slumatina di scorta: niente da fare? No. Oh bè, frega niente. «Eppure lei dovrebbe in qualche modo (modo che io, nel momento in cui fossi esortato a farlo, potrei anche suggerirle) dovrebbe, dicevo, esserci grata di averla sottratta alle grinfie di quei, già sopra piuttosto doviziosamente qualificati, ... saccomanni.» «Oooooh» – smandibolano tutti in preda alla più sincera ammirazione lessicale. «Buoni. Buoni, vi prego. Dunque il nostro agente segreto, il povero Vremont (di cui purtroppo non abbiamo più notizia, e non possiamo prevedere se, e quando ne avremo mai), aveva avuto il compito di contattarla con discrezione, al fine di metterla profilatticamente in salvo, ma la trappola di quei ...» «saccomanni! ... » – antifonizzano con entusiasmo i devoti colleghi, «(?!) ... era, dicevo, già innescata, e si è dovuto organizzare un raid, ah sì, alquanto ardito per riportarla qui con la testa sulle spalle.» – sospira infine Budd

Bristol, gonfiando alternativamente (e non possiamo diagnosticare quanto ostentatamente) i muscoli delle natiche. «Cosa sia però rimasto di ortodosso nella sua testa è ora materia di scomm..., cioè, intendo dire, causa di scommovimento, ecco, nonché di trepidazione tra i miei colleghi, dei quali mi pregio in un certo senso di essere collega» – si circonfonde malamente il, in altri frangenti pur brillante, dottor Ambo Bingo, anestesista di scorta. «A proposito. Le capita mai di muggire nel sonno?» – butta lì come se piovesse il capofisiologo ingenier Dalko Lloingiu. «E di sognare mentre muggisce?» – controbatte sbucando fulmineo dal suo appostamento di essere scorbutico il capropsicologo S. Otto Lapatt, di palese scuola Freudiana. «E di rendersi conto di avere in testa il vuoto, il buio, ovverosia il nulla e tutte queste belle cose inesistenti?» – gongola interrogativamente il coprofilosofo Nikki Liszt. «(Nero, nero, nero)» – per un istante gli abissi dell’inferno tornano a dischiudersi sotto i tuoi piedi in un ricordo confuso che rifluisce a stento dai meandri forse già irrimediabilmente bacati del tuo cervello. «Ma di cosa andate vanverando? Mi si spieghi piuttosto perché ci sto andando di mezzo proprio io? Cosa c’entro? Insomma, basta! Non ne voglio più sapere di questa storia!»

«Insomma, basta! Non ne voglio più sapere di questa storia!»

– tuona Greta staffilandomi le terga sul piano del tavolino inamidato dal calore, nella penombra del suo appartamentino sottocutaneo in quella di un pomeriggio di giugno oh alquanto desueto. (punto)

Gli astanti sobbalzano all’unanimità, gli sguardi rivolti con soggezione al soffitto in cui si annidano gli ultimi brontolii di quel tuono improvviso. Estintisi questi, detti astanti prendono a scrutarsi in tono di cordoglio. «Chiamate gli altri, ci siamo!» – deglutisce il primo a riaversi.

(tic, tac, tic, tac ...)

«Con questa perifrasi roboante, solo in apparenza difensivamente legittima, lei conduce la presente narrazione ad una svolta radicale, cara signorina!, conduce ...» – ratifica in tono cartabollante un bronzo di Riace addobbato da notaio, prorompendo a tutta birra Moretti nella stanza. «E non faccia finta di non esserne edotta, non faccia ...» – dice la faccia di bronzo. «E le dirò di più, le dirò ... » – stampiglia frenetico non cessando di defalcare a spron battuto la sebben coriacea pavimentazione della stanza, non cessando ... – «lei sta mettendo alle strette l’autore, onde costringerlo a riconvogliare il racconto su binari più consoni alla tradizione logico-aristotelica, sta mettendo ... più consoni ... binari ...».

Quindi tira il freno d’emergenza e va ad infrangersi con stridore dietro alla scrivania. «(Una caduta di stile)» – rabbrividisce fra sé e sé l’infermierina Pisky avvolgendosi meglio nel suo kayak rosa. «Quello che lei non sa, forse (lo affermo dando credito probabilmente eccessivo alla sua buona fede, lo affermo ...) è che l’autore non è assolutamente in grado di operare in tal senso, sia che non ne sia stato abituato da piccolo o che non gliene impippi nulla di farlo, ... (impippi?) ... E questo a cosa ci porta? a cosa? ... » «Non saprei, a cosa ci porta?» – ti scappa di dire, giusto per sostenere la conversazione. «A cosa ci porta cosa?, ci porta? ...» – strabuzza il bronzo giurisprudente incrostandosi la fronte di molluschi residui. (Pausa. Che bel soffitto, non ci avevo mai fatto caso.) «Insomma glielo dico io» – sopravviene Merry Peson contorcendosi i piedi nelle pedule vistosamente troppo marroni. «Il presente reperto archeosofico ...» «Archeomobile prego, ... cheomobile ...» «Insomma il nostro notarile amico intenderebbe sussumerle discretamente l’idea che la sua pur condivisibile, ma che dico?, condirisibile protesta (testé verbalmente espressa in chicchi ben scotti) potrebbe fatalmente indurre il mai troppo lodato autore a gettare la spugna, a dare cioè un colpo di spugna e ridursi a bere come una spugna, ovverosia appendere la penna al chiodo, dimagrendo come un chiodo e facendosene un chiodo fisso, insomma delle somme, una roba da chiodi.» «E questa idea ovviamente la seduce. E non faccia finta di non esserne sedotta, non faccia ...» bronza quell’altra feccia di dicitore. «Ecco, signorina, si metta nei nostri panni» – viene al dunque Quaqua Chapel senza alzare gli occhi dal piatto – «qui rischiamo tutti la carta integrazione, se la va ben, o peggio ancora la completa estinzione letteraria. Ci guardi e si metta

una mano sulla coscienza ...» «Psst, no, lì meglio di no, potrebbe già essere in stato avanzato di ...» – gli bisbiglia nel padiglione auricolare Bernadette Lourdon dall’alto della sua beatitudine. «Ha sì. Si metta, dicevo, la mano, hem, sul cuore, dopo averci comunque contemplato, e muova le sue valvole ventricolari a comione di questo stuolo di personaggi appena abbozzati che anelano legittimamente ad inseguire una brillante carriera letteraria di sviluppo psicologico narrativo o quantomeno un posto fisso in una commedia di caratteri, tipi, o maschere che dir si voglia, senza doversi porre alla ricerca di un nuovo autore che, lei capisce, trovandoci a essere ben più di sei ...» «Ma quale commedia?! Voi, anzi, mio malgrado, noi tutti, facciamo già parte di una immane tragedia il cui prologo è logoro, la cui trama è un trauma, il cui svolgimento sconvolge assai più i maroni del mento, il cui nodo drammatico è ahinoi scorsoio, e il cui epilogo si prevede epilettico» – insorge Greta improvvisamente ispirata – «e io non ho ancora capito perché cavolo devo trovarmi coinvolta in questa storia del c...» «Azzo?» – insinuano i più malevoli. «Avolo?» – censurano i bacchettoni. «Oh bè, sapesse noi» – spalluccia Otto Maleinacht riprendendo a masturbarsi – «Certo capisco ... lei in qualità di protagonista ... avrà anche delle rivendicazioni più cogenti – per usare un termine di cui mi sfugge il significato. Ma deve avere più fiducia, vedrà che a lungo andare, tra quelle due-trecento paginette una spiegazione salterà pur fuori.»

«Idea, idea!»

– annuncia trionfante il cardiochirurgo Bernardo da Pomparola in qualità di inviato apostolico – «mettiamola così: AGOPUNTURA COME RIMEDIO, il processo di sviluppo dell’ACBD – così avremmo scoperto – si è bloccato nei pazienti che si sottoponevano all’agopuntura per curarsi ... facciamo ... l’ipertrofia naticale. Onde per cui i cattivi stanno cercando di eliminare tutti gli agopuntori della terra nel cui novero la quipresente signorina intende da tempo annoverarsi.» «Humm ... in effetti l’argomento potrebbe suonare plausibile per il lettore mediamente idiota» – soppesa gravemente il natichirurgo Cheb Cullock – «Per la gente comune l’agopuntura funziona più o meno per nulla come per qualsiasi cosa. Sono riuscito a convincere un tipo ossessionato dall’idea di essere vittima del Voodoo ad utilizzarla facendogli credere che ogni volta che gli infilavano un ago il pupazzo Voodo con le sue sembianze si contorceva dal dolore!» «Ah, ah, ah» – ride lui. «Ohi, ohi, ohi» – stridono in cuor loro gli altri. «Questo spiegherebbe in ogni caso perché cavolo ci troviamo in Cina» – cavoleggia saccentemente Mark O'Poll. «Cina un corno! Con tutti i nomi deficienti che abbiamo, nessuno di noi assomiglia nemmeno vagamente ad un cinese» – apostrofa Bau Tze Gong. «Vorrebbe forse insinuare un atteggiamento eurocentrico e tendenzialmente colonialista da parte dell’autore?, vorrebbe ... (onialista)» «Sentite, questo mammalucco con la faccia di bronzo mi ha già colonizzato i maroni. Chi ci sta a buttarlo fuori?» «Io no» – fà Trez Koping junior

«Io sì» – fà Trez Koping senior «Io no» – fà Trez Koping avus «Io sì» – fà Trez Koping nepos «Io no» – fà Trez Koping filius illegittimus «Io sì» – fà Trez Koping XIII «Io no» – fà Trez Koping (sembrerà strano ma non ha legami di parentela coi precedenti) «Io sì» – fà il Bronzo Riacico. «Maledizione, siamo in perfetta parità. Signorina lei ha il voto decisivo» «Eh?!? ... masì, masì!» – languisce Greta affranta. «Ehi, tenete giù le mani, tenete ... le ...»

«Fermi tutti, dispaccio urgente!»: L’autore del presente racconto cade vittima del ABCD ACBD!

(movimenti sussultori sconnessi degli astanti)

«Fermi tutti» – (sospensione temporanea dei movimenti sussultori sconnessi degli astanti) – «dispaccio urgente, numbero 2»:

Dopo essere caduto vittima del ACBD l’autore cade pure sotto il raggio

acceleratore dei processi di sviluppo molecolare! (idiota!)

«Siamo fottuti» – belano in coro i personaggi del racconto. «Aspettate, potrebbe sempre diventare un genio e conferirci nobiltà letteraria e vita immortale natural durante» – ottimizza Bottino Trax sbocciando il suo faccione rosa dal marsupio tunisino. «Natural durante cosa?» – si inalbera Sheen Pantzoo fissando il precedente interlocutore al ramo più alto. «Il funerale di tua nonna!! È un modo di dire, no?! Befana!» – si intorbida il professor Presodvjadichk. «Professor Presodvjadichk, la scongiuro in ginocchio, non perda il controllo» – scongiura in ginocchio Bolina Andersuk, assistente di destra del professor Presodvjadichk. «Il professor Presodvjadichk perde il controllo quando cavolo pare a lui, gnè, gnè gnè!» – replica acido Anilob Kusredna, assistente di sinistra del professor Presodvjadichk, nonché incognito amante del medesimo.

Per farla breve, in quattro e quattr'otto la situazione si fa abbastanza vivace. Ci si insulta, ci si picchia (oh, adesso non chiedetemi di starvi a dire chi fa questo a quell’altro!), ci si insozza, ci si brandisce, ci si squarta, ci si palpeggia, ci si garrota, ci si circoncide, ci si scalpa, ci si offre un Caffè Sport Borlenghi, ci si decapita, ci si bolle in pentola, ci si mostrano le diapo, ci si incula, ci si sbrufola, insomma tutto procede per il meglio finché, sul più bello, eccoti ripiombare inaspettatamente sulla scena il sovraespulso Bronzo di Riace. «Guardate, ha in mano il telecomando di autodistruzione dell’edificio» – sbadiglia Sonia Pernaflex (Bidibodibù per gli amici). «... struzione ... edificio» – risuona simpaticamente il Bronzo, al colmo della lussuria.

«Non lo faccia!» – sbigottisce l’infermierina Pisky estraendo precauzionalmente un preservativo autogonfiante dal reggiseno. «Ma sì, sì, lo faccia!» – menefreghizza Otto Maleinacht riponendo il membro ormai esausto. «Se lo fa non le rivolgo più la parola!» – bluffa il professor Presodvjadichk stringendo maternamente al seno i suoi due assistenti ormai svenuti. «Qui si va tutti a puttane!» – giubilano in coro Trez Koping dal IV al XXXXIX. «E non ci è dato di sapere se e quando ...» «Fanculo tutti» – ruttano dal cestino dei rifiuti le spoglie mortali del dottor Drugobar, eccellente micologo, gastroenterologo, eccetera eccetera.

«Non - una - parola - di - più!»

– urla e strepita Greta, congedandosi da questa storia in qualità di metapersonaggio, còlta nel plastico gesto di sfiondarmi fuori dalla finestra del proprio alloggiamento ultimopianico, finestra peraltro spalancata su quell’afoso pomeriggio di giugno, oh (non ci stancheremo mai di ripeterlo) assai poco consueto!

Lontano, nella landa verdeggiante, il bovino alzò il capo e contemplò, placidamente com’è suo costume, il bagliofragore che si dimenava all’orizzonte. Contestualmente detriti di ogni natura (minerale, vegetale, nonchè pregevoli estrapolati anatomici) svolazzavano alla bell’e meglio per ogni dove, andando ad imbrattare un area rurale di 75.000.000 mq, zolla più zolla meno. Un plico cartaceo perse rapidamente quota, senza peraltro scomporsi, andando a estinguere le proprie velleità aereonautiche davanti al naso della mucca. “Mattina. «Drin-drin-drin», si ode. O forse «du-lilù-lilù», magari «tè-ketè-ketèketè» ...” cominciò a blaterare senza indugio. La mucca non ci pensò due volte e se lo mangiò.

Così nacque (e ben presto morì) la prima mucca pazza.

Post scriptum

Spettabile Signorina, le informazioni contenute in questa missiva Le giungono in forma altamente confidenziale. Se divulgate esse potrebbero scatenare incontrollabili processi di accelerazione dell’entropia sociale nell’ambiente umano in cui, per motivi imperscrutabili, siamo comunemente immersi.

Siamo pertanto indotti a chiederLe di mantenere, a questo proposito, tutto il riserbo di cui La sappiamo capace. Sappia in ogni caso che qualora Lei tentasse di risalire all’autore materiale del presente misfatto, questi non potrebbe che caparbiamente negare di esser tale.

Si pregi, a titolo di congedo, di porre alla Sua esimia persona i nostri sentiti omaggi (che Dio l’abbia sempre in gloria).

Ferenc Lee Du Vremont (o così almeno credo)

Sommario

frontespizio

avvertenza

Mattina

Attesa

Mammelle

«Non te la prondere!»

Nero

Bianco

Il corridoio degrada silenziosamente

«Ma che cavolo è ‘sta roba?»

«Le dirò tutto»

«Ma io che c’entro in tutto questo?»

«Insomma, basta! Non ne voglio più sapere!»

«Idea, idea!»

«Non - una - parola - di - più!»

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